martedì 31 luglio 2012

TEORIE ECONOMICHE A CONFRONTO. DE NICOLA E GALLINO. CHIUSI F., Capitalismo, cosa ne facciamo?, L'ESPRESSO, 27 luglio 2012


È stato il sistema che ha creato più benessere, ma anche più ingiustizie. E ora che il primo sta crollando, a molti sembra che rimangano solo le seconde. E quindi? 'L'Espresso' ha messo a confronto due studiosi di fronti opposti: Alessandro De Nicola, liberista, e Luciano Gallino, keynesiano. Ecco le loro risposte







La Borsa e lo spread sono in altalena, ma un fatto è certo: la crisi iniziata nel 2008 è lontanissima dalla conclusione. E il sistema economico che l'ha generata non è mai stato cosí debole e impopolare da quando è caduto il Muro.

Quali conclusioni (e quali ricette) bisogna trarne, specie per il nostro Paese nell'occhio del ciclone? L'Espresso ha messo a confronto di studiosi molto diversi: il sociologo Luciano Gallino, di scuola keynesiana, e l'economista Alessandro De Nicola, di area liberista. Ecco le loro risposte.

Perché lo spread è di nuovo così alto? Colpa solo delle speculazioni o qualche governo ha sbagliato?

Luciano Gallino
«Lo spread è in primo luogo il risultato di complesse manovre finanziarie, perché rendimenti elevati vogliono dire redditi elevati per chi detiene quei titoli. Che sono principalmente delle banche. In questo ha contribuito anche la goffaggine con cui molti governi europei si sono mossi».

Alessandro De Nicola «Colpa dell'Europa, che ha dato l'impressione di non avere una linea precisa. In più è colpa di qualche governo, perché alcune cose sono state fatte, ma i mercati si aspettavano di più. Quanto alla speculazione, segue sempre i segnali di debolezza, non crea le debolezze. Qualcuno si è mai chiesto come mai nessuno specula contro la Svizzera?».

Cosa succederà nei prossimi due-tre mesi?

Luciano Gallino
«E' una situazione che si regge su fili sempre più esili e sempre più tesi. Il problema di fondo è che bisognerebbe ritornare ad analizzare e comprendere le ragioni della crisi. Che vanno cercate nel sistema finanziario, e non nel debito pubblico. Il debito pubblico è in gran parte una conseguenza della crisi del sistema finanziario iniziata nel 2007, verso la quale non si è fatto praticamente nulla e che adesso ci sta cadendo sulla testa».

Alessandro De Nicola
«Ci sono tre scenari. Uno positivo-virtuoso, nel senso che i governi prendono qualche buona misura aggiuntiva, la Banca centrale riesce ad acquisire qualche potere in più. Si rimane in tensione, perché la calma non tornerà nei prossimi due-tre mesi, ma non a un livello di rottura. I due scenari meno virtuosi sono che a un certo punto la Germania insieme ai tre-quattro Paesi più vicini decide di scindere il proprio destino dall'Euro. Oppure che sono la Grecia e la Spagna ad andarsene fuori. L'Italia in due-tre mesi non va fuori».

Il livello dello spread è ormai quello dei giorni precedenti l'insediamento del governo Monti. I sacrifici sulle pensioni e il lavoro, l'Imu, le nuove tasse: tutto inutile?

Luciano GallinoLuciano Gallino «In gran parte parrebbe di sì, perché sono state fatte di corsa queste riforme - a partire da quella delle pensioni, realizzata incredibilmente in otto giorni - per tenere buoni Bruxelles, la Bce, il Fondo Monetario Internazionale. Perché sembrava assolutamente necessario tenere in conto i loro dettati - perché di questo si tratta -altrimenti saremmo stati esclusi dalle trattative intorno ai meccanismi di solidarietà internazionale come il Fondo salva-Stati, prima, e adesso il meccanismo europeo di stabilità, che fa altrettanto acqua. In un certo senso Bruxelles, e ciò che ci gira intorno, chiedeva di mostrare la volontà di provvedere a risanare il debito pubblico. Dato che da anni l'ideologia neoliberale insiste sul fatto che il debito pubblico è dovuto all'eccessiva generosità dello stato sociale, si son buttati questi due ossi al mastino di Bruxelles. Non so fino a quanto nemmeno quelli che l'hanno concepito fossero convinti che si tratta di risolvere un problema reale. Di fatto si trattava di dare a intendere che noi, perbacco, facciamo qualcosa».

Alessandro De Nicola «La Spagna aveva uno spread di 150. Poi 200, con Zapatero che ha dimostrato di essere un incompetente, non ha fatto nessuna misura sensata. Con Rajoy, che ha fatto più sacrifici, lo spread della Spagna è arrivato a 600. Vogliamo dire che è colpa di Rajoy? Non è colpa di Rajoy. Così come non è colpa di Monti. Uno si potrebbe chiedere che cosa sarebbe successo se oggi avessimo ancora il fantastico duetto Tremonti-Berlusconi, che non si parlavano tra di loro, e che venivano considerati in Europa non altrettanto bene - sarò eufemistico. Lo spread sarebbe a 1000. Quindi no, i sacrifici non sono stati inutili. Si può contestare il fatto che si poteva arrivare agli stessi saldi di bilancio in modo diverso da come ci è arrivato Monti, ma non sono stati sacrifici inutili».



Ma Monti e i suoi hanno lavorato bene o male?

Luciano Gallino
«Monti e i suoi rappresentano in modo forbito, compassato, competente la dottrina economica neoliberale, che è quella che ha condotto l'Unione Europea, e prima ancora gli Stati Uniti, verso la crisi. E' paradossale notarlo, ma è abbastanza difficile pensare che il personale che è formato dal punto di vista ideologico, scientifico, morale da una dottrina che è quella che ha contribuito alla crisi possa proporre dei rimedi energici per rimediare alla crisi stessa».

Alessandro De Nicola «Benino, nel senso che hanno fatto una riforma delle pensioni buona, e velocemente. Hanno tentato delle liberalizzazioni con esiti un po' deludenti. Hanno fatto una riforma del lavoro deludente, perché le posso assicurare che l'unico effetto vero è che le aziende non assumono più neanche quelli che potevano assumere con gli stage, i tirocini, i contratti a termine. Lo squilibrio tra taglio delle spese e aumento delle tasse è rimasto squilibrato, perché la pressione fiscale è aumentata in modo ingiustificabile rispetto al poco che si è fatto sul fronte delle spese. Siamo speranzosi per la spending review. Quindi ottimi voti sul piano delle relazioni esterne, voti molto buoni sul piano delle pensioni, voti appena sufficienti per le liberalizzazioni e insufficienti su equilibrio spesa/entrata e riforma del lavoro».

Di chi è la colpa se siamo arrivati a questo punto?

Luciano Gallino
«Naturalmente sono problemi che risalgono a tanto tempo addietro. Ma una delle cause fondamentali di tutto questo grave problema è la distribuzione del reddito disastrosamente diseguale a sfavore delle classi medie e delle classi lavoratrici. Noi sappiamo, è stato appena detto, che i salari italiani sono praticamente fermi da 10-15 anni. Ma negli Stati Uniti i salari sono fermi dal 1973. C'è stata una enorme distribuzione del reddito dal basso verso l'alto. Dopodiché chi aveva accumulato grandissimi ricchezze ha prestato denaro ai più poveri che non potevano ripagarlo, costruendo un meccanismo che poi è esploso in faccia a coloro stessi che l'avevano costruito. Tutto il resto, per certi aspetti, segue da questo. Poi ci sono molti altri fattori di complicazione: l'arrivo al governo di un personale improntato sull'ideologia neoliberale; l'assenza dei regolatori, tanto negli Stati Uniti che nell'Unione Europea; e il grosso problema delle banche europee, da quelle tedesche a quelle spagnole, francesi e altre».
Alessandro De Nicola «Del meccanismo europeo, sicuramente, che non poteva funzionare in un momento di crisi vera. La moneta unica senza la prospettiva di una unica direzione della politica economica non può funzionare. E, all'interno di questa colpa della struttura complessiva dell'Euro, ci sono colpe particolari dei Paesi che non hanno saputo tagliare la spesa e governare il proprio bilancio pubblico».

Quali sono le mosse che farebbe oggi se fosse presidente del Consiglio?

Luciano Gallino
«Bisogna fare una distinzione: quello che lo studioso può dire non sempre è quello che il politico può fare. Certo sarebbe molto importante ricostruire le ragioni fondamentali della crisi e dello svuotamento dei bilanci pubblici. Che non è dovuto, come si legge o si vede in tv ogni giorno, a un eccesso di spesa sociale, ma a una serie di fattori. Che sono: la crisi delle banche, che in Europa è costata trilioni di euro, cioè migliaia di miliardi; la delocalizzazione, così che migliaia di aziende che vanno piuttosto bene pagano le imposte all'estero, in modo che le imposte provenienti dalle corporation sono scese dal 30% delle entrate fiscali dello Stato, vent'anni fa, a meno del 10%. Più naturalmente l'evasione fiscale e, in primo piano, il salasso operato a causa della crisi bancaria».

Alessandro De Nicola «Metterei una parte importante del patrimonio immobiliare disponibile, che ammonta a 500 miliardi di euro valore di libro, a un fondo; affiderei il fondo attraverso una gara internazionale a gestori in gran parte internazionali per dargli credibilità; e poi farei in modo che questo fondo o emettesse obbligazioni o vendesse quote del fondo per finanziare la restituzione del debito pubblico italiano. Seconda cosa: porrei in essere immediatamente le misure di spending review, sia quelle di Giavazzi, per gli aiuti alle imprese, sia quelle di Bondi. Che ha lasciato trapelare dai suoi incontri che tra il 20 e il 60 per cento degli acquisti dello Stato potrebbero essere tranquillamente tagliati. Se capitasse in un'azienda, il direttore acquisti probabilmente verrebbe messo in un barile di pece e impiumato».



Patrimoniale: sì o no?

Luciano Gallino
«Sì, una patrimoniale ragionevole dell'1 per cento l'anno per un po' di anni, o anche permanente, non farebbe male a nessuno. Parliamo di patrimoniale sul patrimonio finanziario, la casa è già ipertassata. Con un grosso interrogativo: che pagherebbero i soliti noti. Perché noi siamo il Paese in cui coloro che dichiarano più di 100 mila euro l'anno sono mi pare intorno ai 200 mila. Il che, se uno ci pensa, fa o ridere o strappare i capelli. Quei 200 mila ci sono soltanto conteggiando due grandi città. Come fare a non farla pagare soltanto a quelli che pagano sempre è un problema da risolvere».

Alessandro De Nicola
«Assolutamente no. La patrimoniale la paghi lo Stato, non i cittadini».

Il capitalismo è morto o va solo riformato?

Luciano Gallino
«Va regolato, controllato. E' già stato fatto un paio di volte. E' stato fatto soprattutto negli Stati Uniti durante il 'new deal' negli anni Trenta, ed è stato nuovamente rifatto nei primi trent'anni del Dopoguerra. Anni di sviluppo molto rapido, buoni salari, ampliamento dei diritti dei lavoratori, istituzione di progetti fondamentali come la sanità pubblica o le pensioni generalizzate. Quello che è stato fatto un paio di volte sarebbe nuovamente possibile. Il fatto è che il grosso dei commentatori, dei politici - perfino di sinistra -ritengono che si debba recuperare il 'business as usual', cioè lo stesso modello produttivo che esisteva in precedenza. Bisognerebbe ritornare a una regolazione del capitalismo quale si ebbe nei trent'anni del Dopoguerra. Questa naturalmente è una cosa inaudita per l'ideologia dominante, ma temo che di lì si debba in qualche modo passare».

Alessandro De Nicola «La morte della capitalismo è una notizia fortemente esagerata. A me sembra che il problema sia quello dei bilanci degli Stati e della spesa pubblica. E faccio notare che anche la crisi finanziaria del 2008 nasce da una politica monetaria facile fatta da un'autorità pubblica, cioè la Federal Reserve americana; da un fenomeno dei subprime, nato grazie a leggi approvate dal Parlamento che incoraggiavano a dare credito a chi non era meritevole di credito per motivi politici, per incoraggiare il mito della proprietà per tutti; da due mostri come Freddie Mac e Fannie Mae, società che hanno 8000 miliardi di dollari in mutui e che sono garantite dal governo. A me sembra che il capitalismo sia minacciato dall'intrusione dello Stato, dalla cattiva regolamentazione».



E' giusto e utile imporre il pareggio di bilancio in Costituzione?

Luciano Gallino
«E' una autentica follia. Così come è stata una follia l'approvazione, pochi giorni fa, del patto di stabilità e crescita ?€“ noto più comunemente come patto fiscale, Fiscal Compact. E' una follia perché non è mai esistito uno Stato che a lungo termine non usasse il deficit di bilancio per comporre una propria politica economica. E' vero che ci possono essere debiti eccessivi, che quello italiano probabilmente è eccessivo: ma inserire in Costituzione una regola che impone il pareggio di bilancio è una autentica follia, perché toglie dalle mani dello Stato uno degli strumenti principali di politica economica. Oltretutto, uno strumento che gli Stati hanno usato abbondantemente tra il 2007 e il 2009. Il debito pubblico dell'Unione Europea è aumentato di più di 20 punti in quegli anni, perché gli Stati hanno versato migliaia di miliardi per salvare le banche. Cioè hanno attuato politiche keynesiane di deficit sistematico organizzato, dopodiché hanno inventato questa ottusa e micidiale clausola del pareggio di bilancio in Costituzione. Che tra l'altro il Fiscal Compact non richiedeva perentoriamente. Il Fiscal Compact dice di inserire il vincolo del bilancio in pareggio nella legislazione del proprio Paese,preferibilmente in forma costituzionale. E i nostri parlamentari sono corsi invece a inserirlo nella Costituzione. E' un errore gravissimo, così come è un errore gravissimo l'approvazione in quattro e quattr'otto del Fiscal Compact. Mi chiedo se chi l'ha votato avesse la minima idea di cosa significa ridurre un debito di più o meno 950 miliardi in vent'anni. Cioè 45-50 miliardi all'anno. Ma neanche vendendo tutte le coste del Paese si potrebbe fare».



Alessandro De Nicola «Per un Paese come il nostro è utile. Non sono un entusiasta, ma non sono sfavorevole. Ne colgo i limiti, la rigidità, però sono anche convinto - come è convinto il Nobel Buchanan e tutta la scuola delle scelte pubbliche - che alcuni limiti costituzionali servono per impedire alla politica di correre dietro non solo agli interessi del momento, ma alla lobby più forte del momento. Troppo spesso la spesa pubblica è fatta di lobby, al di là degli interessi generali della maggioranza dei cittadini».

Elezioni subito: sì o no?

Luciano Gallino
«A questo punto direi no. Un po' perché la legge elettorale è quella che è, e poi perché ci vorrebbe uno straccio di progetto da parte delle forze politiche - ma non se ne vede da nessuna parte. Andare a elezioni tanto per andare a elezioni mi parrebbe un rimedio peggiore del male, anche se l'attacco allo stato sociale che il governo Monti sta operando mi pare che superi ormai ogni accettabile limite».

Alessandro De Nicola «Assolutamente no. In questi momenti di grande tensione e fibrillazione è un azzardo pensare che facendo le elezioni subito i mercati si rassicurino perché c'è un governo più stabile. Lasciamo altri 6-7 mesi a Monti per lavorare su alcuni dossier, per esempio quello della spending review che mi sembra così importante. Tanto c'è tutto il tempo per fare la campagna elettorale, e soprattutto farla con una legge elettorale che non delegittimi la politica. Andare a votare di nuovo col porcellum significherebbe deligittimare ancora di più la classe politica. Una classse politica completamente delegittimata, con il 40 per cento della popolazione che non va a votare, e con il 40 per cento di quelli che vanno a votare che vota per partiti o antisistema o poco fuori dal sistema, poi è difficile dire che si ha legittimità a tassare le persone fino al midollo».

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