mercoledì 1 ottobre 2014

ITALIA. ECONOMIA E NUOVI SCHIAVI. FORMICA, MARINI, Le schiave della Romagna, L'ESPRESSO, 21 giugno 2014

Il tavolino è di quelli da giardino, di plastica bianca, a poco prezzo. Sopra la tovaglia color senape c'è il "Piccolo manuale informativo per i lavoratori stagionali, comunitari e non": fotocopie di articoli di cronaca e accanto le tabelle con le tariffe aggiornate divise per categoria di hotel e mansioni. Di fronte c'è il cavalletto con le "civette", anche queste bilingue, "informazioni sindacali" si legge. È da questo angolo quasi invisibile del corso di Gatteo a Mare che sono venute alla luce le testimonianze dello sfruttamento e della tratta dei lavoratori dall'Est Europa fino alle spiagge della Romagna. 



La videoinchiesta Dalla Romania a Cesenatico: ecco come funziona la tratta 

Quattro sere a settimana Sandra prende posto in via delle Nazioni, che divide Cesenatico da Gatteo a Mare, in quel breve tratto di costa rimasto sotto la provincia di Forlì-Cesena. È cominciato tutto quando lei, che ora lavora in un'industria che produce piadine, faceva la stagione come donna ai piani, a pulire le camere. Veronika, la sua collega romena le raccontò quanto prendeva al mese: 950 euro. Cinquanta euro meno di lei, ma lavorando il doppio. Un orario da schiava, 12 ore al giorno. Nei periodi di piena, come nella settimana di Ferragosto, anche di più. Così Sandra ha deciso di informare i lavoratori stagionali sui loro diritti, soprattutto gli stranieri che arrivano qui ogni anno ad aprile e che poi a settembre tornano a casa. Nei decenni del "boom", fino alla fine del '900 parlavano sardo, calabrese, campano. Ora l'accento è quello dell'Europa dell'est. La maggioranza sono romeni, ma vengono anche da Moldavia e Polonia. Donne soprattutto, gli ingranaggi invisibili dell'enorme macchina del turismo di massa. 

Con l'aiuto di Ercole Pappalardo, sindacalista della Filcams-Cgil di Cesenatico, si è documentata e in collaborazione con l'associazione Rumori sinistri, un collettivo che ha sede a Rimini, ha messo su il suo piccolo "ufficio". I romeni che passano la sera, dopo una giornata interminabile fatta di pulizie, cucina, piatti e servizio ai tavoli, leggono l'invito nella loro lingua. Alcuni passano oltre perché non si fidano, altri si fermano e chiedono come possono fare per avere il sussidio di disoccupazione una volta terminata la stagione, oppure quanto dovrebbero prendere realmente di stipendio in base al loro orario di lavoro. Sandra mostra loro le tabelle salariali e la maggior parte delle volte li invita a procedere con una vertenza. Scrivendo su un foglietto il numero di cellulare di Ercole.

«Vedi, tu prendi 1.200 euro, ma lavori 13 ore, senza giorno libero», spiega a una ragazza, «Bene, se ci metti il giorno che non hai e gli straordinari che non ti pagano dovresti prenderne 3.500». Poi chiede loro di compilare una scheda, anonima, sulla quale registra i loro dati. Età, provenienza, anno di arrivo in Italia e stipendio. In due anni Sandra ha raccolto 245 testimonianze. La maggior parte sono donne romene, impiegate per le pulizie delle camere, servizio in sala o aiuto cucina. Quasi tutte hanno pagato per trovare un contratto in Italia. Prima dell'entrata della Romania nell'Unione europea le tariffe potevano arrivare anche a 1.000 euro. Ora pagano dai 400 ai 750 a degli intermediari che hanno contatti con gli hotel di tutta la Romagna, ma anche in Trentino per la stagione invernale. 


Secondo uno studio dell'Osservatorio nazionale sul turismo di Federconsumatori, l'Emilia Romagna è la regione con le camere più economiche in Italia. Degli oltre 4.500 alberghi la metà è concentrata sulla costa. Ospitalità e divertimento a basso prezzo, che hanno permesso alla Riviera di reggere anche alla crisi. Ma è una competitività che pesa anche sulle spalle di queste persone.

La tratta. «Esistono delle agenzie che operano in Romania. Hanno depliant, cataloghi e organizzano i viaggi con pulmini che portano in Italia i dipendenti». È il direttore del Grand Hotel di Cesenatico, Luigi Godoli, a confermare l'esistenza di un sistema gestito da intermediari che dall'Est (non solo dalla Romania, ma anche da Moldavia e Polonia) procurano personale agli hotel della Riviera. «Noi abbiamo una persona, un italiano, che vive là. Ma non ci costa nulla. Immagino che prenda una percentuale sullo stipendio dei lavoratori. Credo sia una cosa normale». 

Invece proprio normale non dovrebbe essere perché, almeno in Italia, chiedere soldi per un contratto di lavoro è illegale. Il decreto legislativo 276 del 2003 disciplina l'attività delle agenzie di intermediazione e selezione del personale. Nell'articolo 11 si fa divieto »di esigere o comunque di percepire, direttamente o indirettamente, compensi dal lavoratore». 

Nonostante questo l'associazione Rumori sinistri ha individuato, nel corso dei due anni di indagine, almeno sette intermediari, tutti italiani tranne uno. Il bacino principale da cui attingono è Cluj Napoca, in Transilvania. Una delle zone più povere, a rischio spopolamento dopo l'entrata della Romania nella Ue, proprio perché tanti se ne vanno in cerca di un lavoro a ovest. Da lì partono e arrivano pulmini a nove posti che lasciano le lavoratrici davanti agli hotel, sono compagnie di trasporto che lavorano a chiamata e fanno fino a tre corse a settimana. 

Uno di questi mediatori è di Rimini, la sua agenzia ha tre sedi, di cui una proprio a Cluj. Per avere il suo numero basta telefonare all'Adac, l'associazione di albergatori di Cesenatico, con la quale collabora da anni, oppure cercare sul sito internet dell'agenzia. Al giornalista che gli telefona per un'intervista riguardo alla sua attività non vuole spiegare nulla: «Io sono chiuso, per quest'anno non faccio niente. Sono perfettamente in regola in Romania ma non opero più in Italia». Basta però fingersi albergatori in cerca di personale a basso costo che comincia a raccontare, anche al telefono: «Io prendo 100 euro per conto di Adac, glielo dico subito (è la cifra che chiede agli albergatori per ogni dipendente assunto grazie alla sua intermediazione ndr) non si preoccupi perché è tutto in regola, ho un contratto riconosciuto dal governo romeno». 

Il trucco sta qui, fare in Romania ciò che in Italia è vietato espressamente per legge. All'incontro pattuito il mediatore si presenta con un depliant che spiega come funziona la sua agenzia e assicura che non ci sono problemi per i controlli Inps o dell'Ispettorato del lavoro: «Loro lo sanno cosa devono dire», spiega: «Sanno che devono fare anche 10, 11 o 12 ore ma devono raccontare che ne fanno 6 e 40 con un giorno di riposo a settimana». Mentre è seduto al tavolino del bar riceve almeno sei o sette telefonate. Sposta e propone ragazze a un hotel o all'altro. Fa fronte alle esigenze dei clienti in emergenza: «Te ne mando una bravissima. Anche stasera. È un jolly, brava brava». E per fortuna che non lavorava più in Italia. 

Poi parla anche della "concorrenza": «Ci sono in giro dei delinquenti, che prendono i soldi in nero e poi magari le ragazze arrivano e trovano che l'albergo non esiste o è chiuso. Se li incontrassi glielo direi in faccia che si devono vergognare a prendere i soldi alla povera gente». Lui prende 500 euro a ogni lavoratrice alla quale procura un contratto da 1000, "muove" più di 100 donne a stagione lungo tutta la costa romagnola. E fa i nomi di tanti hotel suoi "clienti", da Cervia a Cattolica.

Lo sfruttamento. Alla fine all'hotel K2 di Cesenatico ha vinto l'esasperazione. Alcuni stagionali hanno deciso di fermare il lavoro e protestare. I primi di giugno sono scesi in strada assieme ad altri dipendenti dello stesso gruppo, i Coppola, proprietari di altri otto hotel tra la Riviera e il Trentino, per chiedere che gli venisse finalmente pagato lo stipendio. Sono stati sbattuti immediatamente fuori dall'hotel, cinque di loro hanno dormito in strada, sopra le valigie, per quattro notti. Fino a che Sandra non li ha trovati e ospitati per qualche giorno. La casa è piccola e i bagagli occupano metà dello spazio, ma è sempre meglio che dormire sotto le stelle. Raccontano gli orari massacranti: «Io ero stata assunta con un contratto a chiamata», racconta una di loro, «ma lavoravo tutto il giorno anche 15 o 16 ore come cameriera ai piani». Il ragazzo che le siede accanto non parla bene l'italiano. Prosegue lei per lui: «Lui era cameriere di sala ma faceva il tuttofare, anche le camere e il lavapiatti. Ci hanno dato 50 euro in due mesi. Quando chiedevamo lo stipendio rimandavano sempre. Allora abbiamo deciso di venire via». 

Con loro ci sono anche due ragazzi che vengono dal sud Italia. Sono arrivati al K2 a fine maggio ma hanno resistito solo pochi giorni: «Al colloquio ci avevano detto 1.200 euro al mese, 6 ore e 40 e giorno di riposo. Invece il giorno di riposo non c'era, lavoravamo 14-15 ore al giorno e lo stipendio era sceso a 900. Dormivamo in una stanza in sette che al massimo ci si poteva stare in quattro. Con un bagno solo, con la muffa e i topi». La direzione dell'Hotel K2 non ha risposto a richiesta di un'intervista da parte de 'L'espresso' per rispondere a queste accuse. 

«Facendo due conti si deduce che questi lavoratori prendono un terzo del salario che gli sarebbe dovuto», spiega Ercole Pappalardo della Cgil. Ma il confronto con le tabelle salariali non rende. La differenza è infatti di poche centinaia di euro ma con orari ben differenti e un giorno libero a settimana, che qui in riviera non usa fare perché lo spirito è quello di rimboccarsi le maniche, tipico del boom degli anni Cinquanta "far legna" il più possibile, lavorando anche 100 giorni senza sosta.

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